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Cara Gelmini, sono una prof e faccio politica in classe”

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Gentile Ministro Gelmini,
insegno da 17 anni nella scuola superiore della Repubblica italiana. Credo di dare molto al mio lavoro. Non solo da un punto di vista organizzativo o rappresentativo, ma anche da un punto di vista qualitativo.
La difesa della scuola pubblica che da anni pratico con orgoglio, visto lo scempio progressivo del sistema educativo nazionale, non è funzionale ad alcuna posizione partitica.

E’ semmai vero il contrario: io sono costretta a vivere la mia professione in una dimensione politica, perché il diritto all’istruzione e gli obiettivi della scuola in cui credo e che vorrei per mio figlio sono seriamente compromessi dai tagli, dall’incompetenza di chi dall’alto decide, dalla volontà di privatizzare o quantomeno semiprivatizzare il sistema educativo, dai nidi all’università. Difendere la scuola pubblica per me significa pratica quotidiana in classe, nella ricerca di metodologie didattiche che mi aiutino ad entrare in comunicazione con i ragazzi, a “farli respirare con il cervello”, come diceva alla radio una giovane studentessa.
Lei mi dice che io sono un funzionario pubblico e che pertanto posso non essere d’accordo con la sua riforma, ma devo tacere e limitarmi ad eseguire, obbedendo al mio datore di lavoro. Altrimenti dovrei lasciare la scuola e candidarmi nelle liste di qualche partito. Le ricordo, ma credo Lei debba averlo ben presente in quanto donna di legge, che i “funzionari pubblici” non devono giurare fedeltà a nessuno, se non alla Costituzione. Come funzionario pubblico, io sono garante, per quanto di mia competenza, dei diritti che la nostra Costituzione sancisce per i cittadini. E quindi, nell’adempiere le mie funzioni, devo dare loro una buona scuola e devo renderli consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri di studenti e di cittadini. Se la qualità della scuola che frequentano non è all’altezza della sfida cui ci mette di fronte la società della conoscenza, allora io ho il dovere di informarli del perché ciò accade, di ciò cui avrebbero diritto e viene loro negato, responsabilizzandoli perché sappiano difenderlo.

No, caro ministro Gelmini. Noi genitori non ci stiamo, perché la scuola dei nostri figli si impoverisce sempre di più, in tutti i sensi, pedagogico, didattico, materiale. Il tempo pieno non esiste più, è inutile che ci raccontiate che è cresciuto. Che schizofrenia è sostenere nella stessa intervista che le compresenze sono abolite, che c’è il maestro unico e che si sono aperte 35.000 sezioni a tempo pieno in più? Per i nostri figli e le nostre figlie noi non vogliamo un parcheggio. Hanno diritto ad una scuola di qualità, laica, democratica, pluralista e gratuita. Ci spaventano i tagli ai fondi e al personale, ci spaventano i programmi veramente immiseriti dalle varie indicazioni nazionali dei suoi predecessori, che Lei ora si appresta ad armonizzare.
No, caro Ministro Gelmini, noi docenti non ci stiamo. Fra i principi costituzionali ai quali io, funzionario pubblico, devo essere fedele, c’è anche quello che mi tutela nell’esercizio delle mie funzioni. Esiste la mia libertà di insegnamento, e Lei, ministro, non può toccarmela. Lei potrà boicottarmi togliendomi le compresenze, le ore di programmazione in team, le ore di sostegno a ragazzi e ragazze, bambini e bambine disabili, Lei potrà soffocarmi con indicazioni nazionali misere e impoverite, Lei potrà anche impormi tutti i test del mondo, ma in classe ci vado io e la mia libertà di insegnamento mi consente di esprimere le mie opinioni. O vuole preparare dei bei video ministeriali sui vari argomenti di studio, che saremo costretti a propinare ai nostri studenti? Lo diceva anni fa l’onorevole Aprea: in palestra, davanti ad un bel maxischermo, se ne possono tenere anche 70, di bambini.
Ci sentiamo presi in giro dalle conferenze stampa e dai proclami su giornali e televisioni, che presentano della situazione una lettura talmente falsata, ignobilmente distorta, da lasciarci senza parole. Perché quest’anno in tanti entreremo in classe e ci troveremo di fronte 30-33 alunni, alcuni di recente immigrazione, alcuni che hanno perduto le ore di sostegno, con meno ore di laboratorio, senza un euro per le supplenze, con locali fuorilegge quanto all’affollamento, eccetera, eccetera. Ci troveremo a correre da una classe all’altra, senza avere il tempo di stabilire relazioni con gli alunni, con i colleghi, con i genitori. O forse Lei vuole dirmi che nella scuola che verrà io non dovrò fare altro che eseguire asetticamente le Sue unità didattiche finalizzate a far superare ai miei alunni i Suoi test. Che non devo perdere tempo nella crescita emotiva e nell’educazione, nello sviluppare insieme a loro il pensiero critico e riflessivo sui fenomeni e gli eventi?
Quando avrà trovato una teoria pedagogica sufficientemente accreditata in grado di dimostrare che per un processo di apprendimento efficace non è indispensabile la relazione, allora potremo cominciare a discutere. Quanto ai contenuti, mi permetta di dubitare seriamente che ci sia mai stato, finora, qualcuno veramente in grado di occuparsene. E anche in questo caso, di persone che vivono in aula, a scuola, ne sono state interpellate veramente poche.
Ministro, nell’Atto di Indirizzo da Lei firmato, si parla di sostegno alla progettazione, ai gruppi di lavoro e di ricerca per una buona scuola. In modo politico, ma assolutamente gratuito e trasparente, centinaia di migliaia di insegnanti, genitori e studenti Le stanno dicendo che non vi lasceranno distruggere la scuola e l’università pubbliche. Non sanno solo dire dei no. Hanno idee chiare e precise da sottoporvi, frutto di un lungo entusiasmante lavoro di condivisione e confronto. Hanno studiato, fatto ricerche, costruito la buona scuola giorno per giorno. Nessuno di Voi vuole ascoltarli. Non mi illudo che possa esserci un’inversione di tendenza da parte del Suo governo. Il controllo sociale che ne può derivare, oltre al business che si può aprire, sono troppo allettanti, e l’opposizione del mondo della scuola si presenta ancora fiacca, divisa e rassegnata. Ma, sinceramente, non capisco come una donna possa prestarsi ad un gioco come questo, senza nessuna vergogna. Il ministro Moratti, quando le dissero che avrebbero tagliato i fondi alla scuola e all’università in maniera assai meno ingente di quanto non sia stato detto ora a Lei, si disse pronta a dare le dimissioni. E i tagli furono decisamente ridimensionati. Ma la Moratti era Disneyland a confronto. Alla scuola della quale Lei è la responsabile governativa, stanno tagliando miliardi di euro e 150.000 posti di lavoro. Lei sarà per sempre ricordata come il ministro che ha affossato la scuola e l’università pubbliche.
Ci pensi, Ministro. Io, intanto, nel mio piccolo, farò un po’ di politica in classe e cercherò di avvicinare i miei allievi al significato della bellezza. Il che può essere molto utile per sentirsi cittadini consapevoli.

 

Note: Repubblica 23/09/2009

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