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Due scuole accorpate, tre posti di lavoro in meno «Ma al di là dei numeri vanno ridotti gli sprechi»

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Mentre è ancora aperta la diatriba tra la Regione Siciliana e il Miur in merito a quale sarà, infine, il numero delle scuole dimensionate nell’Isola – se 250 o poco più di 140 – è lecito interrogarsi su quali possano essere le conseguenze concrete di un’operazione che fa discutere e sulla quale molti dirigenti preferiscono non pronunciarsi ancora.
Insomma, dimensionare, accorpare o fondere significa chiudere una scuola? Di chiusura, per certi versi, è possibile parlare, ma non nel senso di soppressione fisica dei plessi, quanto di perdita di autonomia e quindi di chiusura giuridica di un istituto, come precisa il presidente dell’Andis catanese, Santo Molino, interpellato sull’argomento.
L’atteggiamento dominante da parte degli utenti e dell’opinione pubblica vede nell’accorpamento la morte di una realtà scolastica in favore di un’altra.

«Quando la “Corridoni”, uno dei circoli didattici più antichi di Catania, nel quartiere Cibali, venne accorpata alla scuola media “Meucci”, dando vita all’attuale istituto comprensivo “Corridoni-Meucci”, gli utenti del primo vissero molto male questa operazione – spiega l’attuale dirigente, Antonia Maccarrone – perché la scuola viene vista come un punto di riferimento culturale e aggregativo importante all’interno di un quartiere, specie se popolare. Inoltre, non sono trascurabili neanche le difficoltà di un singolo dirigente nel gestire scuole che hanno storie e problematiche spesso differenti tra loro. I genitori poi, quando si trovano di fronte a scuole potenzialmente instabili, o a rischio accorpamento, preferiscono non iscrivervi i propri figli. Insomma, sono tante le sfumature da tenere in considerazione. Una razionalizzazione deve essere fatta, ma è vero anche che questa deve dare stabilità alle scuole e deve essere coadiuvata da un adeguato sostegno burocratico e amministrativo».

dimensionamento

Che l’accorpamento, già attuato da un decennio a questa parte, risponda a un’ottica di risparmio è fuor di dubbio. Questa volta a rimetterci nell’immediato sono i dirigenti scolastici e i direttori amministrativi. Ma in pericolo potrebbe esserci circa un migliaio di posti Ata, a livello nazionale, tra assistenti amministrativi e collaboratori, in base alle attuali tabelle ministeriali. «Intanto – spiega Molino – si deve fare una distinzione tra aggregazione e fusione, perché con la prima si unisce una scuola sotto-dimensionata, che perde l’autonomia, a una normo-dimensionata; con la seconda si fondono tra loro due istituti entrambi sotto-dimensionati, con la creazione di una terza realtà scolastica. Per i dirigenti, si procede per graduatorie di anzianità. Anche se si sta ventilando l’ipotesi di pensionamento coatto per quei presidi costretti comunque a perdere la sede. È necessario trovare un equilibrio tra i diritti soggettivi e quelli dell’istituzione scolastica. A mio avviso, il criterio dei mille alunni per istituzione scolastica è condivisibile, per ragioni di pubblica utilità. Che senso ha tenere in piedi, in termini di burocrazia e costi, scuole con 200 alunni, con poco personale all’interno e tutto un fiorire di spezzoni orari? È vero che nessuno auspica la soppressione dei plessi, ma se questi ultimi non sono strutturalmente adatti sul piano dei servizi e della sicurezza ad accogliere delle scuole moderne, perché non puntare anche su un trasferimento degli studenti, attraverso un servizio di trasporto, su sedi vicine e più adeguate? Per non parlare del fatto che con la logica dei grandi numeri ci si guadagna sotto tanti punti di vista, anche di gestione. Sui grandi numeri è possibile ammortizzare anche personale amministrativo non sufficientemente specializzato e lo stesso vale anche per i docenti. Insomma, una scuola con soli 200 alunni, giusto per fare un esempio, ha diritto a un solo assistente amministrativo – oltre al Dsga – e se questo non è adeguatamente pratico di computer, come è possibile che l’amministrazione di una scuola possa funzionare al meglio? Se si hanno più assistenti è possibile reperire competenze e specializzazioni diverse. Sono casi limite, ma non del tutto peregrini. Non è giusto ridurre tutto alle cifre, ma salvo le dovute eccezioni, sono le scuole più numerose quelle che funzionano meglio. È chiaro tuttavia che, a mio avviso, la soglia dei 1200 non debba essere superata».

Gli organici dei docenti – fermo restando che questi ultimi dipendono dalle iscrizioni effettive, e non verificandosi chiusura di plessi – dovrebbero rimanere invariati. Gli organici delle scuole accorpate potrebbero restare separati o congiungersi, a seconda del tipo di dimensionamento: nel secondo caso si creerebbero delle graduatorie interne di anzianità di servizio.
Il problema è che da un paio d’anni a questa parte, a prescindere dal dimensionamento – piuttosto per i tagli, la contrazione delle cattedre e l’aumento degli alunni per classe – si verifica sempre più spesso il problema dei perdenti posto e dei ricollocamenti.

«Per gli Ata il discorso è diverso – continua Molino – sia in relazione al dimensionamento sia indipendentemente da esso. Perché nella scuola di base, i collaboratori, ad esempio, anche oltre i 1200 non possono andare oltre i tredici. Un numero effettivamente esiguo, specie considerando il fatto che negli istituti comprensivi l’utenza è composta da bambini. Le scuole secondarie hanno diritto, invece, a un organico Ata maggiore, in presenza di oltre i 1200 alunni. E comunque le incongruenze, in generale, sono relative anche all’organico di sostegno e all’organico funzionale. Materie su cui il ministro dovrebbe seriamente intervenire».

Alessandra Belfiore
La Sicilia

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