Sul Corriere del Mezzogiorno di Bari si legge: “Natuzzi-sindacati, si rompe il tavolo delle trattative”, difficile capire l’interesse a livello nazionale di una trattativa sindacale locale. Forse perché la chiusura di questa vertenza rischia di diventare il caso emblematico di questa crisi?
Le motivazioni per cui non si è chiusa la vertenza Natuzzi riguardano la possibilità per l’azienda di scegliere tra chi reinserire nella produzione e chi mettere in cassa integrazione. La posizione delle RSU aziendali si sostanzia in un’ottica di solidarietà sociale ed è per questo che viene reiterata la richiesta di rotazione della cassa integrazione.
La crisi del settore è duplice, sia per quanto riguarda la generale crisi dei consumi, sia per quanto riguarda la perdita di competitività: da quando ci troviamo in area Euro non abbiamo più la possibilità di usare la leva della svalutazione e il nostro costo del lavoro pone l’Italia tra i paesi più cari del mondo. Se poi al costo del lavoro non corrisponde la produttività, la tragedia è annunciata. Il paradosso è che l’amministrazione pubblica, grazie al Ministro Brunetta, è riuscita a cambiare il sistema valoriale dei dipendenti pubblici, dove l’efficienza è un valore positivo mentre il lazzaronismo, il menefreghismo e l’imboscamento diventano valori socialmente non più accettabili. Il calo dell’assenteismo è stato raggiunto più con il controllo sociale che con la paura di perdere il posto.
Produttività non significa sfruttamento dei lavoratori, ma semplicemente efficienza produttiva. Se i dipendenti si scostano troppo dalla media orario della produttività il costo del prodotto crescerà automaticamente, diminuiranno i margini e l’azienda perderà competitività. La produttività è una derivata della meritocrazia e la meritocrazia non può che essere un concetto sociale basato sulla paritarietà e sul premio di chi è più bravo. In questo caso, solo i lavoratori efficienti possono salvare il posto di lavoro, mentre è socialmente giusto che chi efficiente non è debba non essere premiato. Questa dovrebbe essere una battaglia fatta propria dal sindacato perché meritocrazia è un concetto di sinistra e livellamento sociale non è più un concetto politicamente corretto. Più da destra sociale che da sinistra democratica.
E’ difficile accettare che si debbano operare delle scelte e per tutti intervengono motivazioni di tipo affettivo, valutazioni di tipo personale, situazioni contingenti, fino ad arrivare alla carità Cristiana. Poiché è acclarato che non si possono salvare tutti i lavoratori, una scelta è doverosa, e su questo punto sindacato e Confindustria non possono essere schierati su fronti avversi. Il settore pubblico è ora all’avanguardia rispetto all’industria privata perché si è ristabilito il senso dello Stato e di quei valori che si pensava fossero persi per sempre.
La cultura garantista che concepiva le aziende del Mezzogiorno come un ente di sostegno pubblico non è più attuale. Se l’Italia vuole mantenere una presenza industriale competitiva anche al Sud deve ripensare all’efficienza delle sue fabbriche espellendo i lavoratori inefficienti e premiando quelli più bravi. La vittoria della meritocrazia non è un valore proprio del liberismo economico, ma l’evoluzione del socialismo nella nuova cultura progressista. Il governatore Nichi Vendola, la Confindustria e il sindacato pugliese potrebbero stabilire dei nuovi paradigmi sociali e diventare capostipite di un accordo sindacale che potrà essere il simbolo della ripresa economica.