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Sulla responsabilita’ di datore di lavoro, dirigente, preposto e RSPP

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Commento a cura di Gerardo Porreca atteggiamento che la Corte di Cassazione sta assumendo nei confronti della responsabilità della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione a seguito di eventi infortunistici si annovera questa sentenza, pregnante di insegnamenti, con la quale vengono messi a fuoco sia i limiti delle responsabilità fra la figura del RSPP e quelle del datore di lavoro, del dirigente e del preposto previste dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sia il rapporto fra loro di queste figure medesime.).Nell’altalenante

 
Da un lato, infatti, viene ribadito che il dirigente ed il preposto sono, per quanto di loro competenza, responsabili iure proprio degli obblighi di sicurezza sul lavoro, indipendentemente dalla eventuale delega fornita loro dal datore di lavoro e dall’altra viene confermato che la nomina di un RSPP, benché questa figura sia munita di una qualifica specifica, non esime il datore di lavoro dall’acquisire in ogni caso la figura del garante della sicurezza.
 
Nel caso preso in esame il legale rappresentante ed il direttore di uno stabilimento venivano imputati del delitto di lesioni colpose in danno di un operaio dipendente il quale si era infortunato mentre, con l’aiuto di un collega, provvedeva a spostare manualmente una porta di peso elevato che gli cadeva sulla gamba.
 
I due imputati venivano assolti in primo giudizio dal Tribunale con la formula “per non aver commesso il fatto”, il quale, pur individuando nell’accaduto la violazione dell’articolo 48 del D. Lgs. n. 626/1994 per una movimentazione manuale di un carico pesante ed ingombrante, non aveva ritenuto di addebitare agli imputati alcuna responsabilità che veniva individuata invece nella figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione designato all’epoca dei fatti.
 
Contro la sentenza del Tribunale veniva fatto ricorso per saltum alla Corte di Cassazione dal Pubblico Ministero il quale sosteneva che il giudice di merito aveva interpretato erroneamente le disposizioni di cui agli articoli 4 ed 8 del D. Lgs. n. 626/1994 ritenendo che fosse sufficiente a giustificare l’esenzione da responsabilità degli imputati il solo fatto che il datore di lavoro avesse designato per lo stabilimento un responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
  

La Sez. IV penale della Corte di Cassazione ha accettato il ricorso del P. M. annullando la sentenza impugnata con il rinvio per il riesame alla Corte di Appello ed ha censurato il giudice di merito per aver lo stesso “finito per accogliere quella deduzione difensiva, mostrando di non aver tenuto in considerazione, come avrebbe dovuto, il principio giuridico secondo cui, tra i destinatari iure proprio delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 sono compresi, tra gli altri, il datore di lavoro ed il dirigente”. La stessa Sez. IV precisava, altresì, che il dirigente “non si sostituisce, di regola, alle mansioni dell’imprenditore, del quale condivide, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza del lavoro: a meno che, da parte del titolare dell’impresa, sia avvenuta, non soltanto la nomina nel suddetto ruolo (di Dirigente) di persona qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura tecnica, con le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro”.
 
Il documento di nomina del RSPP prodotto dalla difesa, ha fatto notare la Sez. IV, non poteva svolgere la funzione di delega utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi, invece, della designazione, ai sensi dell’articolo 4, comma 4 lettera a) del D. Lgs. n. 626/1994 di un responsabile del servizio prevenzione e protezione, per l’osservanza dei compiti previsti dall’articolo 9 dello stesso decreto, figura questa, ribadisce la Suprema Corte, “sprovvista, come è stato accertato, di quei ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, ritenuti indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro”.
 
Nell’assolvere ai suoi compiti, prosegue la Corte di Cassazione, il responsabile del servizio di prevenzione opera per conto del datore di lavoro “il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l’obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui in base al citato D. Lgs., articolo 4, commi 1, 2 e 6 tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del responsabile del servizio, mentre, all’articolo 89 punisce il datore di lavoro per non avere valutato correttamente i rischi”.
 
Secondo la Cassazione, in altri termini, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come avviene in qualsiasi altro settore dell’azienda, devono essere fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che è quest’ultimo che viene comunque chiamato a rispondere delle sue eventuali negligenze.
 
Interessanti sono poi le considerazioni e le puntualizzazioni che sono state fatte dalla Sez. IV in merito alle responsabilità assunte dalle figure del dirigente e del preposto in materia di sicurezza sul lavoro dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626/1994.
 
Il D. Lgs. n. 626/1994, osserva la Corte di Cassazione, nella formulazione originaria dell’art. 4, distingueva tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro e gli obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, mentre il successivo D. Lgs. n. 242/1996, riferendosi a quanto già stabilito nel D.P.R. n. 547/1955 e nel D.P.R. n. 303/1956, ha abolito la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro e gli obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, quasi a voler individuare nel datore di lavoro l’unico destinatario di tutti i precetti indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
 
La dottrina, prosegue la Corte, si è sempre chiesta quale sia il significato di tale variazione, in apparenza solo topografica, e cioè “se in pratica l’innovazione stia a significare l’adesione del legislatore del 1996 alla teoria dell’ontologica inscindibilità della posizione di garanzia dalla qualifica di datore di lavoro, con la conseguenza di ritenere che, senza una valida delega di funzioni, non possa sorgere nessuna responsabilità né del dirigente, né del preposto” o se l’innovazione stia, invece, a significare che la modifica operata sul punto abbia semplicemente ripristinato la vecchia e sperimentata formula già contenuta nei D.P.R. n. 547/1955 e n. 303/1956 “secondo cui i collaboratori del datore di lavoro sono, al pari di quest’ultimo, da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti o preposti e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc”.
 
La scelta non può che cadere, secondo la Sez IV della suprema Corte, sulla seconda di tali tesi. “Sembra, invero, – infatti, sostiene la Corte di Cassazione – potersi affermare, innanzitutto, che è la stessa formulazione della norma – negli stessi, pressoché identici, termini usati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 articolo 4 – che consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche ture proprio, prescindendo dalla eventuale delega”. “E’ la stessa intestazione della rubrica dell’articolo 4 (‘Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto’) – inoltre, prosegue la Corte – “che può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza”.
 
A conferma di quanto sopra detto, infine, la Sez. IV con una acuta osservazione, pone in evidenza che se è vero che l’articolo 4 del D. Lgs. n. 626/1994 parla sempre e soltanto del datore di lavoro, è pur vero che l’articolo 89, dedicato alle sanzioni per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti, prevede, nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa essere punito per la violazione di alcuni obblighi dell’articolo 4, comma 5, e ciò nonostante che il dirigente nell’articolo 4 medesimo non sia nominato.

 

 

 

 

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