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«L’università rischia la fine di Alitalia»

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Il ministro «I cortei? Sono più decisa di prima»

Progetto di riforma entro ottobre per privilegiare l’inserimento di giovani

NORCIA — «Spaventata dai cortei? Neanche un poco. Casomai più decisa di prima». Il presidente Napolitano le ha telefonato. «Mi ha molto incoraggiata ».

È il giorno dopo la grande contestazione. Il ministro Mariastella Gelmini ( foto) parla a un pranzo, in attesa di intervenire al convegno «Educazione e libertà» organizzato da Gaetano Quagliariello (Pdl), presidente della fondazione Magna Carta. Non si è spaventata, ma mentre sfilava il corteo non è andata al Ministero. «Sono rimasta all’Eur. Mi hanno consigliato di evitare viale Trastevere». Se n’è andata da Renato, il suo parrucchiere. «Gli ho telefonato dicendo: adesso i giornali ti fanno diventare famoso». Cerca di non dare peso agli insulti di studenti e insegnanti. «Il mio fidanzato che mi vuole molto bene ha detto: se ti torcono un capello ci penso io, ma contro chi ti insulta non posso fare nulla perché sono troppi. Ma io vorrei che chi insulta ragionasse ».

Vorrebbe che si ragionasse sul fatto che in questo Paese il numero degli addetti alla scuola è stato gonfiato in misura assurda. «Un milione e 300 mila persone. Questo ha comportato un aumento della spesa negli ultimi 10 anni del 30%, siamo passati da 33 a 43 miliardi di euro. Non ce lo possiamo permettere ». Ha difficoltà a procurarsi un quadro esatto dei conti, «io voglio i bilanci, ma la struttura è reticente nel fornire le informazioni». Non deve combattere solo la reticenza, ma anche le bugie. «I sindacati hanno messo in giro la voce che licenzieremo migliaia di insegnanti e molti finiranno negli uffici postali. Falso. Lo dico ad alta voce: non licenzieremo nessuno». Serve però un utilizzo migliore dei fondi. «Questo riguarda anche le università. Ci sono almeno 5 atenei con i conti fuori controllo. L’università rischia di finire come l’Alitalia e io voglio mettere mano subito a una riforma ». Ce ne sono troppe. «Se federalismo significa che ogni comune può farsi la propria università, dico chiaro che gli enti locali devono darsi una regolata».

Consapevole che l’ambiente universitario è surriscaldato e bisogna mettere in conto le occupazioni. Ma sa pure che una riforma non può eludere «il problema sociale del precariato». Il governo di centrodestra farebbe la figura dell’ottuso «se non capisse che questa è una vera emergenza». Allora sta pensando al turnover, una quota del 20% dei docenti che escono andrebbe ai precari, «premiando i più meritevoli anche con aumenti, e Tremonti deve farmi il santo piacere di non dire sempre no». Accusa la sinistra di aver gonfiato il numero dei precari. «Prima ha creato il loro disagio sociale e ora cavalca questo disagio, ma chi difende lo status quo fa del male all’università ».

Vorrebbe una sinistra che aiuti a trovare soluzioni, invece di protestare e basta. «Non ho capito la levata di scudi sulle classi separate. Se un bambino straniero che non conosce l’italiano studia la lingua in corsi separati cos’è, razzismo o buonsenso?». Sogna che i docenti moderati alzino la testa, che diano vita a una specie di marcia dei 40 mila, come quella famosa dei dirigenti Fiat. «Nelle università si fanno sentire solo i docenti di sinistra. Sarebbe ora che anche i moderati, per la miseria, mostrassero gli attributi».

Marco Nese

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