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ECCO PERCHÈ È SALTATO IL DECRETO ASSUNZIONI. I DOCENTI SI PREPARINO AD INGOIARE PILLOLE AMARISSIME

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università2La clamorosa notizia di ieri che ha visto saltare il decreto relativo la tanto annuncita “buona scuola” maschera alcune incertezze del governo e moltissimi dubbi dei tecnci del MIUR.

 

Il ddl servirà quanto meno a prendere tempo e allo stesso tempo a coinvolgere una parte dell’opposizione, quella brunettiana e gelminiana? Ma le sorprese amare saranno tantissime, si scopre anche perchè potrebbero saltare le utilizzazioni e come viene demolito il concetto di cattedra fissa, ma sono solo alcune delle pillole velenose che i docenti dovranno prepararsi ad ingoiare. A fare il punto della situazione è il quotidiano ItaliaOggi nell’articolo che segue.EIPASS1

Tutto in divenire. La forma stessa del provvedimento che dovrà attuare la riforma della Buona scuola potrebbe non essere più quella del decreto legge, con il piano assunzionale e gli aumenti per merito, ma un disegno di legge delega, «così da coinvolgere direttamente e più incisivamente il parlamento», avrebbe detto ai suoi il premier, Matteo Renzi. La decisione sarà presa stamane, nel corso di un vertice a palazzo Chigi. Il consiglio dei ministri chiamato a varare l’annunciata riforma è previsto nel pomeriggio. I rumors di palazzo raccontano che a incrinare la certezza granitica del premier di procedere per decreto siano state alcune voci su possibili rilievi di costituzionalità, circa l’utilizzo della decretazione d’urgenza, che potrebbero giungere dal Quirinale. L’articolato intanto è pronto, con novità di non poco conto rispetto alla bozza di qualche giorno fa (si vedano le anticipazioni di ItaliaOggi di sabato scorso), a partire dal fondo per il finanziamento delle assunzioni nella scuola che dovrebbe portare in cattedra circa 120mila precari. Se la legge di Stabilità prevedeva una dote fino a un miliardo di euro, che diventava di 3 miliardi dal 2016, l’articolato preparato per il consiglio dei ministri, e che ItaliaOggi è in grado di anticipare, parla di 658 milioni per il 2015, che diventano 2,24 miliardi nel 2016, 2,26 miliardi nel 2017 fino ad arrivare a 2,72 miliardi a decorrere dal 2025.

Il provvedimento istituisce il nuovo organico dell’autonomia, in cui confluiranno vecchi e nuovi docenti, senza più distinzione tra organico di diritto e di fatto, e assegna ai dirigenti scolastici il potere di utilizzare tutti gli insegnanti di ruolo in base alle esigenze dell’istituto e della didattica. Non ci sarà dunque un’assegnazione stabile su una cattedra, il preside potrà impiegare i docenti dell’istituto «in altri gradi di istruzione», il caso classico è lo scambio tra scuola media e superiore, «o altre classi di concorso», per esempio da fisica a matematica, anche se l’interessato «non è in possesso della relativa abilitazione». Basta che sia in possesso del titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento.

L’obiettivo è garantire maggiore flessibilità e autonomia nella gestione delle risorse umane di pari passo con una riduzione del numero di alunni per classe così da migliorare la qualità della didattica. I docenti inoltre saranno tenuti a fare le supplenze dei colleghi assenti fino a 10 giorni, godendo del trattamento economico della scuola in cui sono impegnati se superiore a quello della scuola di provenienza. La precisazione dovrebbe servire a fare ingoiare una pillola che è facile prevedere risulterà amara per molti. Come del resto sarà difficile da digerire anche un altro capitolo spinoso della riforma, ossia il nuovo trattamento economico dei docenti. Dal prossimo primo settembre, le risorse destinate all’anzianità di servizio non saranno più disponibili: 16,7 milioni per questi ultimi mesi del 2015, oltre 272 milioni per il 2016. Tali somme, dal 2017, andranno per il 30% a premiare l’esperienza, per il restate 70% il merito, definito attraverso crediti didattici, formativi e professionali. Di questa torta, una fetta sarà riservata a mentori e docenti di staff. Per tutti gli altri varrà il sistema della valutazione triennale e la classificazione in tre fasce. I sindacati sono chiamati a dire la loro con un contratto da firmare all’Aran. Ma il passaggio negoziale ai più pare un atto formale. «Per valorizzare i docenti, devono metterci i soldi, così è solo uno spot», attacca Massimo Di Menna, segretario Uil scuola, «in cui tutto è stato già deciso nel chiuso delle stanze». Per il segretario generale della Cisl scuola, Francesco Scrima, «il governo si appresta non a riformare la scuola, ma a metterla a soqquadro, l’unico dato certo è che le retribuzioni del personale, già tra le più basse d’Europa, saranno ulteriormente taglieggiate». Assicura Mimmo Pantaleo, segretario Flc-Cgil: «La reazione sarà non solo dei sindacati, ma di tutta la scuola». Rincara Marco Paolo Nigi, Snals-Confsal: «Se le voci saranno confermate, ci sarà una stagione di scontri sindacali e di impugnative legali senza riscontro».

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