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Il Protocollo sul rientro a scuola in sicurezza: cosa non ha funzionato?

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Chiusura scuoleQueste prime settimane di scuola hanno drammaticamente messo in luce il fallimento del Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’Istruzione e i Sindacati della scuola per l’avvio in presenza e in sicurezza dell’anno scolastico 2020/2021, firmato il 6 agosto 2020 da tutte le OOSS, tranne la Gilda degli Insegnanti. Con il Protocollo sono state definite le misure ritenute necessarie dal ministero dell’Istruzione per garantire il rientro a scuola in presenza e in sicurezza di alunni e insegnanti.

Le carenze del Protocollo erano evidenti, a chi le avesse volute vedere, già nel mese di agosto. Infatti, il distanziamento del “metro buccale” è impossibile in classi da 30 alunni. Nonostante i tanti inviti a ridurre il numero degli alunni per classe, ancora oggi molte classi nel secondo ciclo e diverse anche nel primo ciclo sono composte da oltre 28/30 alunni.

Non parliamo poi della vicenda dei banchi con le rotelle, che se non fosse per la tragedia che stiamo vivendo potrebbe solo essere classificata come una “salata farsa”: costosi, inutili per il distanziamento e peraltro, dopo ben due mesi di scuola, neppure consegnati alla maggior parte delle scuole.

Anche la pervicacia con cui lo staff della ministra si è rifiutato di inserire il controllo della temperatura per studenti, insegnanti e per tutti coloro che accedono agli edifici scolastici è figlia della sicumera con cui al ministero hanno considerato le richieste e i suggerimenti di chi nella scuola lavora quotidianamente.

I presidi sanitari in ogni scuola, promessi nel Protocollo, non si sono mai visti negli Istituti scolastici. Allo stesso modo i tavoli nazionali e territoriali, a cui almeno i firmatari avrebbero potuto partecipare per il monitoraggio dell’attuazione delle misure contenute nell’accordo, da diversi mesi non vengono convocati.

Un capitolo a parte è quello dei trasporti, cioè la calca alla quale si sottopongono quotidianamente gli studenti e il personale scolastico all’andata e al ritorno da scuola a causa dell’affollamento dei mezzi di trasporto per i quali ben poco è stato fatto.università telematica

Non sono bastati, quindi, alla burocrazia ministeriale e alla politica sei mesi di chiusura totale delle scuole, da marzo a settembre, nei quali il mantra propagandistico è stato “stiamo lavorando molto e sta andando tutto bene”, per approntare le misure necessarie a permettere a studenti e insegnanti di riprendere le lezioni in presenza e in sicurezza.

Nella scuola reale dall’inizio di settembre, quando i mezzi di comunicazione sono stati inondati dalle immagini della ministra che visitava le poche scuole modello, vere e proprie veline degne di altri tempi, la maggioranza delle classi del secondo ciclo si divideva tra lezioni in presenza e didattica a distanza, tra doppi e tripli turni, ingressi anticipati e posticipati e tante altre soluzioni fantasiose affidate all’autonomia dei singoli istituti.

Infine, sempre che ce ne fosse bisogno, la conferma del completo fallimento del Protocollo arriva dal Governo con il DPCM del 3 novembre che ha reso obbligatoria in tutta la penisola e per tutte le classi del secondo ciclo la Didattica a distanza (nelle zone rosse anche per le ultime due classi della secondaria di primo grado). E tutti concordiamo che la Didattica a distanza non è scuola, infatti la Dad sta alla lezione in presenza come il surrogato sta al caffè espresso, una sorta di cura palliativa della vicinanza che gli insegnanti praticano, a proprie spese, per non abbandonare i propri studenti.

Nella speranza che anche la burocrazia ministeriale e la politica ne prendano atto, se si vuole riprendere la scuola in presenza e in sicurezza è evidente che si debba riaprire il Protocollo e implementarlo con le misure necessarie a difendere la salute degli studenti e del personale scolastico, in primis, quindi, reperimento di nuovi spazi, riduzione del numero degli alunni per classe, aumento di insegnanti e non-docenti e dpi adeguati alla gravità del contagio.

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