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Avvio dell’istruzione parentale, riferimenti normativi e amministrativi: cosa fa la famiglia, cosa il Dirigente scolastico

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Istruzione parentale è il termine amministrativo adottato nel nostro Paese per indicare quel fenomeno conosciuto a livello internazionale come homeschooling e che ha già una storia pluridecennale. Esso viene attivato dai genitori o da chi ne fa le veci.

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Le coordinate concettuali e legislative forti di questo assunto si ritrovano negli articoli 30, 33 e 34 della Costituzione.

Art. 30 “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli , anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti…”

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Appare con chiarezza come la responsabilità di istruire ed educare i figli sia in capo ai genitori, i quali sono chiamati a questo per duplice attribuzione: di un dovere e di un diritto. Lo Stato interviene soltanto laddove sia verificata un’incapacità genitoriale.

Il dirigente scolastico prende atto della decisione genitoriale.

Art.33 “ L’arte e le scienze sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione…..”

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Art. 34 “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita….”

Non è quindi la frequenza scolastica ad essere obbligatoria, e nemmeno l’adesione ad un curricolo istituzionale, ma “l’istruzione inferiore”, all’interno di un quadro di libertà di insegnamento.

Il dovere dei genitori può essere quindi assolto con una di queste due modalità: o delegando tale funzione ai servizi scolastici, oppure provvedendovi direttamente progettando e gestendo il processo di apprendimento, nella libertà di insegnamento, come recita la costituzione.

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Le leggi nazionali prevedono che da parte dei genitori venga presentata una comunicazione:

Testo Unico del Decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994:

Art. 111 – Modalità di adempimento dell’obbligo scolastico

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2. I genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.

Decreto legislativo n. 76 del 15 aprile 2005:

Art. 1, comma 4:

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I genitori, o chi ne fa le veci, che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dei propri figli, ai fini dell’esercizio del diritto-dovere, devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli.

Decreto Legislativo n. 62 del 13 aprile 2017

Art.23 – Istruzione parentale

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In caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente, ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza.

L’atto che i genitori (o chi ne fa le veci) devono compiere è una comunicazione da inviare al dirigente scolastico del territorio di residenza. Si tratta di una comunicazione di istruzione parentale, non di una richiesta. Il distinguo segna un passaggio concettuale e legislativo fondamentale. Esso implica che il dirigente scolastico non possa né accettare né rifiutare l’istruzione parentale; né tantomeno concederla; né nessun altro può farlo, trattandosi di diritto costituzionale.

E’ utile inviare la medesima comunicazione al sindaco del Comune di residenza; questo perché le due autorità richiamate sono quelle tenute alla vigilanza sull’esercizio dell’obbligo di istruzione dei giovani, in carico ai genitori o a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, e di converso la vigilanza è svolta anche sul diritto/obbligo all’istruzione che i giovani stessi hanno.

Un tema equivoco è quello del compito del dirigente nel momento dell’accertamento delle “capacità tecniche” o “economiche” (dove la “o” non è una “e”), che i genitori sono tenuti a dichiarare di possedere nel momento in cui hanno inoltrato la comunicazione di istruzione parentale.

Infatti, sempre nell’articolo 23 già citato, non si fa menzione di alcuna autodichiarazione in tal senso; si precisa unicamente che i genitori sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione al dirigente scolastico del territorio di residenza.

Si può sostenere che la suddetta autocertificazione sia un retaggio della legislazione precedente; essa infatti potrebbe essere considerata abrogata, appunto dal D.Lgs 62/2017.

Il dirigente avrebbe inoltre il compito di accertare che le caratteristiche di competenza dichiarate siano effettive.

Il tema è scivoloso e spesso i dirigenti devono muoversi in questa non facile mansione senza precise indicazioni e quindi facendo leva sulla norma sempre vigente del buon senso e con la visione del “buon padre di famiglia”.

L’abitudine porta i DS a chiedere che vengano esibiti i titoli di studio come dimostrazione delle capacità tecniche. La cosa non pare del tutto sostenibile sul piano logico-normativo o sostanziale.

Ovvero non è dato che, ad esempio, genitori laureati o diplomati abbiano capacità tecniche opportune e/o che tanto meno un reddito alto garantisca il giusto impegno e la dedizione nella misura necessaria per l’istruzione dei figli. Come può essere altresì vero che genitori con la licenza media, o nemmeno, siano in grado, per impegno, competenza ed apertura, di organizzare ed accompagnare in maniera egregia i loro figli nell’apprendimento.

L’associazione nazionale per la tutela e la promozione dell’istruzione parentale (LAIF) ritiene che uno strumento utile ed adeguato per la dimostrazione delle capacità tecniche sia il “progetto di istruzione familiare”, un documento in cui i genitori rappresentano le linee d’indirizzo che informano, o informeranno, la loro azione educativa e di apprendimento. Il progetto potrà contenere ogni altro elemento utile a spiegare come intenderanno adempiere al loro dovere di istruire i figli.

Tale strumento si pone in analogia, e in parallelo, con le dinamiche della progettualità scolastica, dell’autonomia dei docenti e degli istituti (piani di studi), con le Indicazioni Nazionali per il curricolo (capitolo “L’organizzazione del curricolo”). Sempre in ambito scolastico, documenti della stessa natura (il PDP, il PEI, il PAI) costituiscono tappe ineludibili in varie situazioni in cui è richiesta una forte personalizzazione del percorso di apprendimento. A maggior ragione ciò può aver senso nel caso dell’istruzione parentale.

E’ evidente quindi che il progetto famigliare di istruzione possiede una sua consequenzialità logico-amministrativa.

Esso ha una duplice efficacia: l’una riferita ai genitori stessi, che in tal modo sistematizzano idee e risorse, l’altra, e in questo caso più importante, è quella riferita al dirigente che ha la possibilità di accertare la capacità dei genitori in un atto, cosa che va oltre la dichiarazione formalistica di possedere un titolo di studio.

Il progetto famigliare è già presente in alcune prassi di istruzione parentale in Italia.

La fase in cui il dirigente è chiamato ad esercitare una certa discrezionalità potrebbe essere questa: l’accertamento delle capacità tecniche o economiche, con tutte le attenzioni e le precauzioni del caso. Non deve passare in second’ordine la considerazione che la scelta e la responsabilità del percorso educativo e di istruzione per i propri figli è in capo ai genitori.

Fonte: orizzontescuola.it

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